Conflitti ambrosiani. Biffi batte, da Milano ribattono
Oggetto della contesa è il nuovo lezionario, contro cui il cardinale Giacomo Biffi si è appellato a Roma. Alle sue critiche risponde il professor Cesare Alzati, il principale autore del controverso libro liturgico
di Sandro Magister
ROMA, 15 febbraio 2010 – Le dure critiche rivolte dal cardinale Giacomo Biffi al nuovo lezionario della messa in rito ambrosiano – rese pubbliche da www.chiesa – hanno suscitato grande trambusto non solo nell'arcidiocesi di Milano e nei territori dove è in uso questo rito, ma anche a Roma, dove l'esposto di Biffi è all'esame della congregazione vaticana per il culto divino.
Al cardinale Biffi – arcivescovo emerito di Bologna ma milanese e studioso eminente di sant'Ambrogio e del rito che da lui prende nome – sono arrivati messaggi di plauso da numerosi esponenti del clero ambrosiano.
Ma vivaci sono anche le reazioni contrarie. E sono parecchi i rimproveri che i difensori del nuovo lezionario rivolgono a Biffi. Nel metodo e nei contenuti.
La prima scorrettezza che rimproverano al cardinale è di non aver fatto appello a chi di dovere, cioè al cardinale Dionigi Tettamanzi che in quanto arcivescovo di Milano è il "capo" del rito ambrosiano.
Appellandosi direttamente alle autorità vaticane e divulgando le sue critiche al grande pubblico, il cardinale Biffi – lo accusano – "ha creato divisione e disorientamento tra il clero ambrosiano" e "ha intaccato la comunione ecclesiale dell'arcidiocesi di Milano".
Recatisi a Roma, i rappresentanti della congregazione del rito ambrosiano che ha prodotto il nuovo lezionario si sono lamentati per l'iniziativa di Biffi con i capi della congregazione vaticana per il culto divino. A loro dire, "i vertici istituzionali della congregazione romana, e segnatamente il cardinale prefetto, sono stati assai sfavorevolmente colpiti dalla scorrettezza con cui l'iniziativa è stata condotta".
C'è anche chi sospetta ed accusa che, dietro al cardinale Biffi, a pilotare l'attacco al lezionario sia un altro ecclesiastico col suo stesso cognome e suo amico, il teologo Inos Biffi, esperto di liturgia e lui stesso membro della congregazione del rito ambrosiano, ma in disaccordo con i colleghi.
Inos Biffi è professore emerito alle facoltà teologiche di Milano e di Lugano. E il vescovo di questa diocesi svizzera nella quale si celebra anche in rito ambrosiano, Pier Giacomo Grampa, gli ha scritto – si fa sapere – "per censurarne il comportamento nei confronti del capo rito e della comunione ecclesiale".
Finora tutte queste reazioni all'iniziativa del cardinale Biffi non si erano mai espresse in forma organica e pubblica. Ma da oggi non è più così.
Come aveva già fatto con la denuncia di Biffi, www.chiesa dà ora voce alla difesa.
In difesa del nuovo lezionario ambrosiano prende infatti qui la parola un "avvocato" molto rappresentativo, perché è colui che più di tutti ha lavorato alla sua stesura: il professor Cesare Alzati, membro della congregazione del rito ambrosiano e docente di storia della Chiesa e delle liturgie occidentali e orientali prima nell'Università di Pisa e poi nell'Università Cattolica di Milano.
Il testo integrale della replica di Alzati al cardinale Biffi
In difesa del nuovo lezionario ambrosiano
Risposta alle obiezioni del cardinale Giacomo Biffi pubblicate da www.chiesa. L'autore è membro della congregazione del rito ambrosiano dell'arcidiocesi di Milano
di Cesare Alzati
Illustrissimo Dott. Magister,
con riferimento al Lezionario Ambrosiano promulgato il 20 Marzo 2008, nel Suo sito si è dato conto, con accurata precisione, di una lettera polemica inviata, a firma del Card. Giacomo Biffi, alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
Appare piuttosto singolare che un Arcivescovo emerito di Bologna, già Segretario della Congregazione del Rito Ambrosiano, dovendo manifestare perplessità nei confronti di un libro liturgico riguardante la Chiesa Ambrosiana, non si sia rivolto – almeno in prima istanza – al Capo Rito, ossia all’Arcivescovo di Milano, col quale condivide l’appartenenza al Collegio Cardinalizio e al quale lo lega una lunga consuetudine di rapporti, radicata nei tempi del comune servizio nel medesimo Seminario.
Analogamente singolare appare il fatto che il testo della lettera fosse stato fatto circolare in fotocopia tra il clero milanese (ma anche in Svizzera) già nel Dicembre 2009, quasi che la preoccupazione non fosse quella di sottoporre al giudizio della Congregazione romana alcune questioni, perché essa le esaminasse e le valutasse, ma quella di creare fracasso tra gli ecclesiastici ambrosiani con un testo in cui si faceva echeggiare il nome del Dicastero della Santa Sede.
Al di là di queste considerazioni di forma e di metodo, la serie di rilievi presenti nel resoconto da Lei pubblicato impone alcune puntualizzazioni di contenuto.
Per rispetto nei confronti della Congregazione romana mi atterrò strettamente a quanto comparso sul Suo sito.
1. Una prima precisazione s’impone in merito al sintagma “Nuovo Lezionario”.
Il libro promulgato dal Capo Rito il 20 Marzo 2008, al termine della Messa Crismale, non è un nuovo lezionario, ma il "Lezionario Ambrosiano riformato a norma dei decreti del Concilio Vaticano II". Dalla promulgazione del Messale Ambrosiano riformato nel 1976, la Chiesa Ambrosiana disponeva unicamente di un parziale Lezionario "ad experimentum", riguardante Quaresima, Triduo Pasquale e Settimana in Albis, con alcune altre celebrazioni maggiori del ciclo "de Tempore" e del Santorale. Per il complesso dell’anno liturgico e per le celebrazioni dei santi si doveva far ricorso al Lezionario Romano (significativamente le prime due settimane ambrosiane d’Avvento erano in realtà le ultime due settimane dell’anno secondo il Rito Romano, con diversa denominazione). Dal 20 Marzo 2008 la Chiesa Ambrosiana ha avuto finalmente il proprio Lezionario riformato.
2. Un’ulteriore precisazione deve svilupparsi in merito all’altro sintagma “riforma liturgica”.
Nessuna riforma, correttamente intesa, può essere condotta nella Chiesa secondo il “gusto” di chicchessia. Ogni riforma è sempre un atto ecclesiale. I soggetti che vi lavorano potranno apportare le loro specifiche competenze, ma essi devono sempre lavorare con la Chiesa, nella Chiesa, per la Chiesa; il loro lavoro viene debitamente vagliato da chi ha il ministero del discernimento in vista dell’unità e della crescita del corpo ecclesiale; ed è colui che incarna tale ministero l’autorità che promulga i libri liturgici, i quali non sono di nessun altro se non della Chiesa per cui sono stati promulgati.
Questa considerazione d’ordine generale, assume ulteriori precisazioni quando si tratti di riforma liturgica all’interno di una Chiesa portatrice di una propria tradizione rituale, specifica nel contesto della comunione cattolica e dell’ecumene cristiana.
Il concilio Vaticano II, fin dall’avvio della sua costituzione "Sacrosanctum Concilium", focalizzò acutamente la questione e nel paragrafo 4 così si espresse: “Il sacro Concilio, in fedele ossequio alla tradizione dichiara che la santa Madre Chiesa considera su una stessa base di diritto e di onore tutti i riti legittimamente riconosciuti, e vuole che in avvenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati, e desidera che, ove sia necessario, vengano prudentemente e integralmente riveduti nello spirito della sana tradizione, e venga loro dato nuovo vigore come richiedono le circostanze e le necessità del nostro tempo”.
L’istanza conciliare porta in sé, tra le altre, motivazioni ecclesiologiche ed ecumeniche a tutti immediatamente evidenti.
Nel clima travagliato della fine anni Sessanta, inizio Settanta del secolo scorso, vi fu tra il clero milanese un marcato disorientamento al riguardo. Nel generale clima di rifiuto della continuità rispetto ad esperienze precedenti, si manifestò un forte movimento volto all’abrogazione del Rito Ambrosiano. Mons. Enrico Cattaneo, autorevole liturgista milanese, nell’editoriale "Una svolta", con cui aprì l’annata 1970 di “Ambrosius”, rivista da lui diretta, teorizzò che, avendo Roma offerto “il suo dono a tutte le Chiese d’Occidente”, Milano doveva assumerlo, sicchè “le parti proprie del rito ambrosiano” avrebbero dovuto ridursi a “pietre preziose incastonate nella corona milanese del nuovo rito occidentale”.
Diretto riflesso di tale clima fu la scelta di introdurre dal 1970 il Calendario liturgico della Chiesa Romana. In tal modo si abolì l’Avvento ambrosiano, con la sua articolazione in sei settimane, e s’introdusse il Tempo “per Annum”. Quest’ultimo era quanto mai congruo all’ambito romano, dove esisteva il sistema delle 'Domeniche vaghe’ e dove già nel "Missale" preconciliare questo stesso Tempo “per Annum” era stato delineato, ma in ambito ambrosiano significò la cancellazione dell’organica strutturazione che il ciclo annuale aveva acquisito anche nelle settimane dopo l’Epifania e dopo Pentecoste. Segnatamente in merito al Tempo dopo Pentecoste, va osservato come esso poggiasse sui due solidi pilastri, presenti fin dall’età tardo antica, del 29 Agosto e della festa della Dedicazione.
Fu con riferimento al nuovo Calendario che venne strutturandosi il "Messale Ambrosiano... riformato a norma dei decreti del concilio Vaticano II". È oltremodo significativo il fatto che Paolo VI, allorché prese personalmente contezza dell’avvenuta alterazione della tradizione ambrosiana in merito all’Avvento, con un proprio intervento autoritativo impose, quando ormai il Messale era già in stampa, il ripristino della durata tradizionale di sei settimane. La traccia dell’accaduto è ancor oggi evidenziata dalla iterazione dei formulari eucologici delle prime due settimane (I, II, III, I, II): espediente cui si dovette ricorrere per supplire alla mancanza di testi allora determinatasi. Il fatto importante da rilevare nell’episodio è che proprio il papa promulgatore del Calendario e delle Norme dell’Anno liturgico romano abbia ritenuto, in riferimento a tali aspetti del patrimonio cultuale, essere il Rito ambrosiano portatore di caratteristiche proprie, da salvaguardare accuratamente.
Procedendo a dotare la Chiesa Ambrosiana di un proprio Lezionario "riformato a norma dei decreti del Concilio Vaticano II", era evidente che ci si dovesse attenere alle disposizioni conciliari, dunque: conservare il Rito, incrementarlo, rivederlo nello spirito della sana tradizione, conferire a esso nuovo vigore, come richiedono le circostanze del nostro tempo.
L’ordinamento delle letture è da sempre elemento connotativo del Rito Ambrosiano: era additato quale aspetto caratterizzante già agli inizi dell’VIII secolo, è esaltato per la sua ricchezza e organicità nel secolo XI, manifesta una continuità documentaria impressionante, le cui radici affondano nella Gerusalemme del IV secolo (Vangeli del Triduo Pasquale), nell’età di Ambrogio (Quaresima), nei secoli della tarda antichità (Evangeliario di Torino del s. VI: letture per le celebrazioni dei santi; palinsesto di San Gallo del s. VII: Evangelo della Domenica prima della Dedicazione). Questo, e quanto ne è seguito, è il patrimonio che il Vaticano II imponeva di conservare, incrementare, rivedere, rinvigorire in riferimento all’attualità.
Tale lavoro era già stato avviato dai redattori, che nel 1972 prepararono il Lezionario Ambrosiano per Quaresima, Pasqua e la sua ottava, venuto a costituire il nucleo del Lezionario "ad experimentum". Essi ripresero le testimonianze santambrosiane e l’ordinamento delle letture perpetuato nella liturgia cattedrale, e riproposero quel patrimonio, con gli opportuni adattamenti perché divenisse alimento per i credenti e guidasse la Chiesa nella sua testimonianza nell’oggi.
Il "Lezionario Ambrosiano riformato a norma dei decreti del Concilio Vaticano II" non ha fatto che proseguire quel lavoro, estendendolo dalla Quaresima e Pasqua all’insieme dell’Anno liturgico, con analoga attenzione al patrimonio di cui la Chiesa Ambrosiana era depositaria e alla sua vita e testimonianza nel contesto contemporaneo.
3. Avvento.
Non è esatto affermare che viene dato al Tempo d’Avvento “un secondo nome: Quaresima di san Martino”. Nelle titolature liturgiche figura rigorosamente il termine “Avvento”.
Nelle didascalie esplicative si è ricordato che, analogamente all’ambito bizantino, dove nel corrente lessico ecclesiale il periodo di preparazione al Natale è detto “Quaresima di san Filippo”, in ambito ambrosiano si soleva definire l’Avvento la “Quaresima di san Martino”, con riferimento in entrambi i casi al momento di avvio e alla durata, consonante nelle due tradizioni, del Tempo in questione (6 settimane).
Si tratta, io credo, di un contributo conoscitivo, che può aiutare il popolo ambrosiano ad assumere piena consapevolezza della solidità storica del proprio patrimonio liturgico, che non è frutto di particolarismo provinciale, ma è patrimonio ecclesiale che si colloca nel più vasto contesto dell’ecumene cristiana.
4. “Non hanno trovato di meglio che inventare una domenica prenatalizia”.
Forse la volontà polemica ha fatto velo su questo punto alla lettura dei dati di fatto, che l’uso dialettico (un po’ sofistico) delle parole non può mutare.
Fin dalle più remote testimonianze l’Avvento ambrosiano prevede una durata di 6 settimane. Per questo, ininterrottamente, fino al Calendario del 1970 che introdusse l’Avvento romano di 4 settimane, a Milano l’Avvento iniziava con la Domenica dopo la festa di san Martino (11 Novembre), donde l’antico nome popolare sopra ricordato.
Il computo delle 6 settimane, da sempre e ovviamente, ha comportato che la Vigilia di Natale, qualora cadesse di Domenica, perdesse il proprio carattere vigiliare e venisse celebrata in forma di Domenica. Da sempre! Il Lezionario riformato continua, secondo la tradizione, a celebrare con rito domenicale la liturgia del 24, qualora il 24 cada di Domenica. Dunque: non vi è alcuna invenzione!
Quanto alla denominazione di tale “Vigilia in Dominicam incidens”, per evitare fraintendimenti di lessico liturgico, il Lezionario ha ritenuto opportuno non ricorrere al termine "Vigilia" ed ha designato l’eventuale Domenica in data 24 Dicembre col termine di "Domenica prenatalizia", come in effetti è, e come suggerisce il suo collocarsi al termine delle ferie prenatalizie.
5. Tempo dopo Pentecoste.
Il testo pubblicato afferma che “il precedente lezionario ambrosiano faceva lo stesso (del lezionario romano)”, ossia chiamava “le domeniche successive (alla Pentecoste) non domeniche dopo Pentecoste ma semplicemente domeniche del tempo ordinario o 'per annum'”.
Probabilmente il riferimento è qui non al Lezionario, ma al Messale, dato che per questa, come per altre parti dell’Anno liturgico, un “precedente lezionario ambrosiano” non esisteva, e la Chiesa Ambrosiana suppliva a questa lacuna ricorrendo al Lezionario Romano.
Come già s’è osservato al punto 2), la titolatura di Tempo “per Annum” è perfettamente congrua all’Anno liturgico romano, per il quale era stata introdotta fin dall’ultima edizione del "Missale" preconciliare, trattandosi di Anno liturgico tradizionalmente caratterizzato dal sistema delle ‘Domeniche vaghe’, ossia da un certo numero di Domeniche che potevano indifferentemente collocarsi dopo l’Epifania o dopo Pentecoste.
Non così era in ambito ambrosiano dove, dalla prima parte dell’età carolingia (s. VIIIex/IXin), portando a compimento un processo già evidenziatosi nella fase precedente, l’Anno liturgico era pensato come un tutto unitario, organicamente strutturato in ogni sua singola parte.
Fin dalla tarda antichità, il grande arco temporale, che dalla Pentecoste si protrae fino alla nuova I Domenica d’Avvento, è scandito da due momenti marcanti, la festa del 29 Agosto e la Domenica della Dedicazione, che appaiono come le colonne di una grande trifora. Il 29 Agosto segnava l’inizio del computo dell’anno secondo il calendario in uso anche a Milano ai tempi di Ambrogio, calendario tuttora seguito dalle Chiese di tradizione alessandrina (la Chiesa Copta e la Chiesa Etiopica). La Domenica della Dedicazione quale Domenica marcante la parte conclusiva dell’Anno liturgico lega la Chiesa Ambrosiana a tutto l’Oriente di tradizione antiochena, dalla Chiesa Sira a quella Maronita, agli Assiro-Caldei, alle lontane Chiese del Kerala indiano. Nel complesso si tratta di un orizzonte ecclesiale ed ecumenico non banale.
Questa articolazione, che – come s’è detto – è profondamente radicata nella storia cultuale ambrosiana, ha permesso al Lezionario riformato di sviluppare nelle ferie precisi itinerari di accostamento delle Scritture.
“La Legge e i Profeti fino a Giovanni” si trova nel Vangelo di Luca (Lc 16, 16a): pertanto nelle Settimane fino al Martirio di Giovanni si sviluppa la lettura dei libri storici relativi all’Alleanza con Israele, prevedendo anche una interrelazione tra letture feriali e prima lettura delle celebrazioni domenicali.
“Da allora in poi viene annunciato il Regno di Dio” (Lc 16, 16b): sicché, dalla I Domenica dopo il Martirio del Precursore alla Dedicazione si sviluppa la lettura degli scritti apostolici.
“Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni!” (Ap 22, 17): celebrato nella Domenica della Dedicazione il mistero della Chiesa, nelle Settimane successive questa stessa Chiesa è guidata a vivere con particolare intensità la propria proiezione verso la Parusia, ripercorrendo il Libro dell’Apocalisse.
Come si vede, si tratta di un’articolazione unitaria e fortemente organica, sicché mi pare che di “sistema farraginoso” si può parlare soltanto stravolgendo la realtà o stravolgendo il senso delle parole.
6. La celebrazione vigiliare vespertina della Domenica.
La tradizione ambrosiana è sempre stata molto rigorosa nel computare il giorno liturgico dal vespero; sulla scia, del resto, della tradizione ebraica e del dettato evangelico: “Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del Sabato” (Lc 23, 54). Inoltre "ab immemorabili" le maggiori solennità in ambito ambrosiano prevedono l’apertura vespertina con la Grande Vigilia (una struttura celebrativa che, in modo analogo a quanto accade in ambito bizantino, inserisce la celebrazione eucaristica vigiliare nella struttura dei Vesperi, arricchita per l’occasione da specifiche letture).
In un tale contesto la celebrazione “quando ormai splendono le luci” del “primo giorno della settimana” non può concepirsi come una semplice anticipazione dell’adempimento del precetto festivo, così da permettere ai fedeli di trascorrere la Domenica senza l’intoppo della partecipazione alla Messa, ma rappresenta il solenne ingresso nel Giorno del Signore, ossia nella Pasqua settimanale.
Secondo lo schema tradizionale delle Grandi Vigilie, tale celebrazione è stata configurata come celebrazione vigiliare vespertina, in cui l’Eucaristia s’inserisce nella struttura dei Vesperi, arricchita per l’occasione da una specifica lettura vigiliare, che è il Vangelo della Resurrezione.
Definire tutto ciò “la più avventurosa” delle novità significa volutamente ignorare tutto il retroterra che si è ora esposto. Definire la lettura di un brano evangelico della Resurrezione nel contesto dell’officiatura domenicale una “trovata” significa volutamente ignorare l’uso costante dell’Oriente greco fin dalla testimonianza di Egeria, nonché – ai nostri giorni – gli usi della comunità latina gerosolimitana del Santo Sepolcro, dell’anglicana Community of the Resurrection, della Comunità di Taizé. Dichiarare che la cosa non abbia alcun valore pedagogico appare poco conciliabile con la centralità della Resurrezione per l’esperienza cristiana, aspetto su cui il magistero paolino ha marcatamente insistito: “Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (1 Cor 15, 14. 19).
7. Un’incredibile aberrazione: celebrare Ascensione e Corpus Domini con la Chiesa universale.
“Si mostrò ad essi vivo, apparendo loro per quaranta giorni” (At 1, 3). Su questo dato scritturistico si sono costruiti i Calendari delle Chiese e delle società cristiane, in Oriente come in Occidente, tra i cattolici come tra i protestanti. Per questo, anche in tutti i Paesi del Nord Europa che hanno aderito alla Riforma, il 40° giorno dopo la Pasqua risulta essere festività civile.
Lo è anche nella Svizzera, dove sussistono, in area Ticinese, numerose parrocchie ambrosiane inserite nella Diocesi di Lugano. Risulta dunque quanto mai plausibile che il Calendario Ambrosiano conservi – di principio – l’ordinamento liturgico universale, prevedendo adattabilità pastorali alla concreta situazione italiana. E questo non per “irrazionale attaccamento ad arcaismi”, ma per rispetto della realtà nella sua vasta e articolata configurazione.
Del resto, componenti della Conferenza Episcopale Italiana sono pure gli Ordinari di Rito Bizantino (i vescovi di Piana e di Lungro, e l’esarca di Grottaferrata), le cui Chiese celebrano l’Ascensione rigorosamente al 40° giorno.
Quanto al Corpus Domini, non è fuori luogo segnalare che in molte Diocesi, per ragioni di opportunità pastorale, la celebrazione della festa con solenne processione si compie, in conformità al Calendario universale, alla sera del Giovedì successivo alla I Domenica dopo Pentecoste.
8. Formula d’introduzione delle pericopi evangeliche: "In quel tempo."
Anche in questo caso non si tratta di una trovata, ma di un dato tradizionale riproposto con una rinnovata pregnanza di contenuti.
“In quel tempo...” non è la formula con cui la tradizione ecclesiastica introduce le narrazioni evangeliche, così come “C’era una volta...” è la formula con cui la tradizione narrativa introduce i racconti delle favole.
“In quel tempo” designa lo specifico momento della storia in cui, per l’intervento di Dio, l’economia salvifica è venuta manifestandosi: un momento preciso, collocato entro concrete coordinate spazio-temporali (“Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa ...” [Lc 3, 1-2]).
Nel caso poi dell’Incarnazione, quel “tempo (kairós)” testimone di tale evento viene, del tempo, a costituire la pienezza (tò pléroma toû chrónou [Gal 4, 4]).
È questo un aspetto nient’affatto secondario dell’annuncio cristiano.
Anche “in nessun angolo della produzione letteraria latina è possibile imbattersi in un complemento di tempo chiuso in se stesso”. Ma se apriamo il "Missale Ambrosianum" nella "editio typica" troviamo proprio così: “In illo tempore. Dicebat...”.
Vi sarà stato in questo il riflesso di una punteggiatura funzionale alla proclamazione in canto dei testi, ma si tratta comunque di un’indicazione che inequivocabilmente configura “un complemento di tempo chiuso in se stesso”, ritenuto un enunciato forte in grado di reggersi autonomamente. Nel contesto culturale contemporaneo, proprio la singolarità di tale elemento, richiamando – come è dimostrato – l’attenzione, può divenire uno stimolo a riflettere sulla dimensione storica dell’evento cristiano (quel tempo) e a viverne con più profonda consapevolezza la riproposizione misterica.
È cosa poco gradevole rispondere a uno scritto costellato di sentenze apodittiche e aggettivi sprezzanti. Ed è molto spiacevole dover puntualizzare affermazioni di un testo, in calce al quale si trova la firma di persona verso cui si è nutrita, e si nutre, venerazione e gratitudine per il ruolo importante e coraggioso, che essa ha svolto in anni complessi e difficili della vita ecclesiale italiana. Ma, seppure con sofferenza, ho ritenuto doveroso stendere queste osservazioni per rispetto alla Chiesa Ambrosiana e per contribuire alla serenità di quanti con generosità esercitano in essa i loro diversi ministeri al servizio del popolo di Dio.
RingraziandoLa per l’ospitalità, La prego di voler accogliere il mio più cordiale ossequio.
Cesare Alzati
P. S. – L’enunciato “In Vaticano, la Congregazione per il Culto Divino ha già preso collegialmente in esame le osservazioni critiche del cardinale Biffi e tornerà a farlo tra breve”, con quanto segue, meriterebbe forse d’essere sottoposto a una più approfondita verifica.
Milano, 4 Febbraio 2010
lunedì 15 febbraio 2010
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